Logo-completo-con-trasparenza
Pillola n. 188 del 21 ottobre 2022

Con sentenza del 12/10/2022 la Suprema Corte di Cassazione, riunita a Sezioni Unite, ha affermato rilevanti principi in materia di rapporti tra evasione fiscale ed azione aquiliana.
Le Sezioni Unite hanno preliminarmente illustrato che il debito di imposta è un’obbligazione pecuniaria avente la sua fonte nella legge ex art. 1173 c.c.: l’evasione del tributo costituisce dunque inadempimento di una obbligazione pecuniaria che può generare i danni patrimoniali disciplinati dall’art. 1224 c.c. La norma predetta espressamente dispone che, in caso di inadempimento di una obbligazione tributaria, deve essere risarcito il danno da mora, almeno che il creditore non dimostri di aver subito un danno maggiore.
Nell’ordinamento tributario gli interessi di mora formano oggetto di una specifica disciplina (art.  13, comma 3, d.lgs. 24.9.2015 n. 159), derogatrice rispetto all’ordinario regime di cui al codice civile quanto a saggio applicabile e decorrenza. Inoltre, anche l’Amministrazione finanziaria ha la facoltà di agire per il danno maggiore rispetto a quello da mora, purché “deduca e dimostri l’esistenza di uno specifico pregiudizio, che sia conseguenza immediata e diretta dell’illecito (art. 1223 c.c.), ulteriore o diverso rispetto a quello costituito dal costo della propria normale attività istituzionale”. Tale danno maggiore non può pertanto ritenersi “in re ipsa ed identificarsi nel c.d. “danno funzionale” (cioè nel “turbamento dell’attività amministrativa” conseguito all’attività di accertamento dell’evasione)”.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Translate »