Pillola a cura dell'Avvocato Emilio Costarella
La recente monopolizzazione di attenzione e commenti degli osservatori parlamentari, esercitata dall’approvazione del disegno di legge avente ad oggetto la riforma che interessa la separazione delle carriere dei magistrati, non impedisce, a chi è più sensibile alle tematiche fiscali, di rilevare l’interesse suscitato da due risposte fornite dal MEF al question time del 29.05.2024.
1. La risposta n. 5 – 00424 ha avuto ad oggetto le modifiche introdotte dalla legge di Bilancio 2024 (legge 213/2023) in merito alla riconducibilità nella categoria dei redditi diversi di quelli derivanti dalla costituzione dei diritti reali di godimento diversi dall’usufrutto (non più quindi imponibili solo al ricorrere delle condizioni integranti una plusvalenza ma sulla base, come stabilito nel detto art. 71, comma 2, della differenza tra l’ammontare percepito e le spese specificamente inerenti alla loro produzione). In particolare è stato confermato che, a prescindere da qualsiasi peculiare modulazione dei rapporti contrattuali, la novella è applicabile a qualsiasi contratto decorrente dal 01 gennaio; non si è manifestata spiccata sensibilità, ad esempio, per i casi in cui il contratto decorrente dal 2024 sia l’effetto di un contratto preliminare precedentemente sottoscritto sotto la previgente disciplina.
2. Con la risposta al question time n. 5-02427 è stato confermato l’indirizzo dell’Agenzia delle Entrate, già espresso con il principio di diritto 17/2018, in tema di flussi di fatturazione nell’ambito degli appalti pubblici concessi ad imprese costituenti un’ATI (Associazione temporanea di imprese). Ribadendo la riconducibilità del rapporto tra ATI ed associate al rapporto di mandato collettivo con rappresentanza, il MEF ha destituito di legittimità il flusso di fatturazione, con applicazione della relativa Iva, tra gli stessi soggetti (ATI e associate); in sostanza, è l’impresa facente parte dell’ATI a dover emettere fattura direttamente nei confronti dell’appaltatore.
V’è di più. La conseguenza, infatti, è il mancato riconoscimento del diritto di detrazione nei confronti dell’ATI cui verrebbe “rivalsata” l’Iva; ciò anche in assenza di qualsiasi irregolarità da parte dell’associata emittente la fattura.
L’approdo deriva da un’interpretazione restrittiva del comma 6, art 6 del d. lgs. 571/1997 che “salva” la detrazione – prevedendo la conseguente sanzione in misura fissa – nei casi di esposizione dell’Iva in misura solo maggiore a quella dovuta.
La dimestichezza con i principi di derivazione unionale rende immediatamente critica una tale lettura nella misura in cui non sembra seguire il verso della orma innegabile indefettibilità del principio di neutralità che può essere salvaguardato, a questo punto, solo con il rimborso dell’Iva versata, ma non dovuta, da parte dell’emittente.