Con la sentenza n. 651 del 12 gennaio 2023, le Sezioni Unite Civili si sono pronunciate sulla usucapibilità delle aree oggetto di espropriazione per pubblica utilità.
Secondo la Suprema Corte, nelle controversie soggette al regime normativo antecedente l’entrata in vigore del T.U. n. 327 del 2001, nelle quali la dichiarazione di pubblica utilità sia intervenuta prima del 30.06.2003, nel caso in cui al decreto di esproprio validamente emesso non segua l’immissione in possesso, la notifica o la conoscenza effettiva del decreto comportano la perdita dell’“animus possidendi” in capo al precedente proprietario, il cui potere di fatto sul bene – se egli continui ad occuparlo – si configura come una mera detenzione, con la conseguenza che la configurabilità di un nuovo periodo possessorio, invocabile a suo favore «ad usucapionem», necessita di un atto di “interversio possessionis”, restando fermo il diritto dell’espropriato di chiedere la retrocessione totale o parziale del bene.
Nelle controversie soggette “ratione temporis” al T.U. n. 327 del 2001, l’esecuzione del decreto di esproprio, con l’immissione in possesso del beneficiario dell’espropriazione, con apposito verbale nel termine perentorio di due anni, costituisce condizione sospensiva di efficacia del decreto di esproprio, con la conseguenza che tale decreto, se non tempestivamente eseguito, diventa inefficace e la proprietà del bene si riespande immediatamente in capo al proprietario, fatto salvo il potere dell’autorità espropriante di emanare una nuova dichiarazione di pubblica utilità entro i successivi tre anni, cui dovrà seguire l’emissione di un nuovo decreto di esproprio, eseguibile entro l’ulteriore termine di due anni; nel caso in cui il decreto di esproprio sia tempestivamente eseguito, ma il precedente proprietario o un terzo continuino ad occupare o utilizzare il bene, si realizza una situazione di mero fatto non configurabile come possesso utile ai fini dell’usucapione.